martedì 27 gennaio 2009

L'importanza del "work-flow": 1° parte

Come ogni attività produttiva pianificata anche lo sviluppo di un portafoglio d'immagini necessita di un preciso work-flow: si tratta in pratica di individuare le modalità più efficienti ed efficaci per l'acquisizione, l'elaborazione, il caricamento e l'archiviazione delle nostre fotografie e video. Una volta individuata la "best practice" potremo affidarci ad essa e procedere nell'attività massimizzando i volumi prodotti.

E' lapalissiano che non esiste una "best practice" assoluta: ognuno deve trovare il flusso di lavoro che meglio si adatta al proprio stile, alle proprie abitudini, al proprio equipaggiamento; in questo post riporto un esempio di work-flow basato su evidenze oggettive e impressioni personali che mi hanno convinto della sua validità.

Come premessa ricordo i seguenti aspetti:

a) La prima fase del flusso di lavoro è l'individuazione del soggetto delle nostre riprese: a tal fine è indispensabile valutare il più precisamente possibile il rapporto costi/benefici di ogni sessione fotografica. Tale aspetto è però preliminare allo scatto e sarà approfondito all'ultimo punto del work-flow che, nelle mie intenzioni, dovrebbe incentrarsi sulla "post-produzione" dell'immagine.

b) Anche la ripresa dell'immagine non rientra nell'ambito del work-flow; le scelte compiute in fase di ripresa ovviamente influiscono pesantemente in post-produzione, ma è l'individuazione della best practice a dover guidare i settaggi al momento dello scatto e non viceversa. In altre parole il materiale in arrivo dall'apparecchiatura fotografica deve essere il più uniforme possibile (formato file, dimensioni, esposizione, iso, obiettivi utilizzati, ecc.), in caso contrario diviene difficile utilizzare le veloci operazioni di sviluppo ed elaborazione in "batch".


Il vero e proprio work-flow di gestione immagine è così costituito:

1) Importazione immagini

La prima fase incomincia ancora "in camera": abituarsi ad osservare e valutare direttamente sul visore le foto scattate, individuando e cancellando subito quelle palesemente inutilizzabili (per esposizione, inquadratura, duplicazione) è un sano ed utile esercizio di auto-critica. La responsabilità che ci si assume nel cliccare irreversibilmente sul tasto "delete" della macchina fa crescere la consapevolezza che "meno è meglio" e ci indirizza sulla selezione attiva al momento dello scatto. Questa attività alleggerisce inoltre il lavoro di download su pc e rende più veloce la successiva cernita delle immagini migliori.

Per importare le immagini dai supporti di memoria su cui sono caricate (memory card o hard disk essenzialmente) utilizzo un programma (nel mio caso Canon EOS Utility, ma ne esistono di diversi) che all'atto del trasferimento rinomina le immagini su uno standard preimpostato (in formato dataripresa -- oraripresa -- numero progressivo; es: 2009_01_27--16_12_58--0586.cr2) e le archivia in una cartella con il nome della data di ripresa (es: 20090127) posta all'interno della cartella mese (es: 01) a sua volta collocata all'interno della cartella anno (es: 2009); il tutto rientra nella cartella NEW. La finalità del processo è di A) uniformare il nome immagine (in questo modo ogni foto ha un codice univoco e presenta chiaramente data e ora di scatto) e di B) archiviare i file in cartelle ordinate temporalmente.

La scelta della logica temporale discende dall'impostazione mista FIFO/QualityPicking del work-flow (First In First Out / selezione qualitativa) dove la precedenza va alla selezione qualitativa (vedi passo successivo) all'interno della cadenza temporale. In pratica la logica è impegnare le risorse sulle immagini che hanno maggiori possibilità di ritorni economici (quality rating) portandole on line al più presto possibile (FIFO). Se per esempio nella cartella 2009_01_27 ho caricato 4 immagini ad elevato rating e 12 di basso rating e nella cartella 2009_01_29 ho 2 immagini ad elevato rating e 9 di basso rating, procederò prima ad elaborare le 4 immagini ad elevato rating della cartella 2009_01_27, poi le 2 immagini ad elevato rating della cartella 2009_01_29, quindi passerò alle altre.

Fine prima parte (continua)



giovedì 15 gennaio 2009

24 mm Canon: due zoom contro una focale fissa

Dal dicembre 2008 ho incominciato a scattare con la nuova Canon 5D mkII: i suoi 21 Mpixel mettono a dura prova le lenti in uso, ogni difetto diviene più visibile, ogni pregio esaltato. A video un'immagine di oltre 5600 pixel di lato non perdona: in particolare nitidezza e aberrazione cromatica (CA) saltano subito all'occhio. Su questi due aspetti ho voluto mettere alla prova due zoom grandangolari della serie L: il 24-70 L f/2.8 ed il 24-105 L IS f/4.0. Ho aggiunto una prime lens: il 24mm EF 2.8. Il tutto per verificare se alla minima focale gli zoom professionali Canon tengono (o superano) la qualità di un economico obiettivo a focale fissa.

Le immagini che riporto sono state realizzate con la Canon 5DmkII montata su cavalletto Manfrotto, il file RAW è stato sviluppato tramite Capture One della Phase One (con setting zero su tutte le regolazioni, compresa maschera di contrasto e noise reduction).

Specifico che il giudizio è puramente soggettivo sulla base dell'osservazione dei crops a 100% su monitor Eizo opportunamente tarato con SpiderPro3.

Lievi differenze di luminosità sono dovute alla differente esposizione fra i diversi scatti (massimo 1/3 di stop) ed alla diversa precisione del diaframma.

Le fotografie sono state eseguite ad f/4.0 , f/8.0 ed f/16 con autoscatto (per eliminare eventuali vibrazioni); per ogni diaframma sono state esaminate diverse aree dell'inquadratura (centrale, media, bordi) e riportate nell'articolo quelle più indicative.

Per comprendere dove sono collocati nell'immagine originaria i vari crops al 100% che seguiranno riporto la miniatura dell'inquadratura completa con evidenziati in rosso le tre zone: quella centrale, la laterale ed il bordo estremo per visualizzare la CA.














DIAFRAMMA F/4.0, ZONA CENTRALE

CANON L 24-105 IS F/4.0















CANON L 24-70 F/2.8















CANON EF 24mm F/2.8















Nella zona centrale appare chiara la netta superiorità della focale fissa, in particolare sembra in difficoltà il 24-70 (che costa, pesa ed ingombra circa 3 o 4 volte il suo cuginetto).



DIAFRAMMA F/4.0, ZONA LATERALE

CANON L 24-105 IS F/4.0













CANON L 24-70 F/2.8













CANON EF 24mm F/2.8













Anche nella zona laterale dell'immagine il "piccoletto" le ha suonate di santa ragione ai suoi ingombranti parenti: anche in questo caso il blasonato 24-70 non si comporta egregiamente, poco meglio fa il 24-105.


DIAFRAMMA F/8.0, ZONA CENTRALE

CANON L 24-105 IS F/4.0















CANON L 24-70 F/2.8















CANON EF 24mm F/2.8














Diaframmando la superiorità del 24mm f2.8 si fa meno evidente ma non si annulla del tutto; i due zoom sostanzialmente si equivalgono, con il 24-105 in leggero vantaggio.


DIAFRAMMA F/8.0, ZONA LATERALE

CANON L 24-105 IS F/4.0












CANON L 24-70 F/2.8












CANON EF 24mm F/2.8












Sui bordi anche a f/8.0 il 24 mm a focale fissa mantiene un discreto vantaggio sui concorrenti. Notare comunque la presenza di una certa CA che andrà aumentando con la chiusura del diaframma.


DIAFRAMMA F/16

A diaframma f/16 la resa generale scade per via dell'effetto di difrazione, ma i risultati dei tre obiettivi si avvicinano. Non si riportano i crops perchè poco utili per la valutazione complessiva.


CA: ABERRAZIONE CROMATICA

L'aberrazione cromatica (Chromatic Aberration) è un difetto ottico per cui varie lunghezze d'onda della luce visibile vengono "messe a fuoco" su piani diversi: in pratica si presenta con aloni rossi/viola e blu/gialli ai bordi di zone ad alto contrasto (es: rami d'albero controluce). In genere aumenta nelle zone periferiche dell'immagine ed è caratteristico degli obiettivi ultragrandangolari.

Per misurare la CA ho scelto il bordo estremo dello scatto effettuato a f/16, in una zona ad altissimo contrasto.

CANON L 24-105 IS F/4.0










CANON L 24-70 F/2.8








CANON EF 24mm F/2.8









Sotto questo aspetto il 24-70 è ottimamente corretto: la sua CA è limitata, sfumata, desaturata, tendente all'arancio; quella del 24mm è decisamente più forte e violacea; il 24-105 presenta la CA più evidente ed ampia anche nella zona del blu.


MISURE COMPLEMENTARI

Non ho effettuato prove specifiche su distorsione e flare; l'impressione è che il 24-70 ed il 24mm presentino una distorsione meglio corretta, il 24-105 lascia invece a desiderare. Per il flare (i fastidiosi riflessi interni all'obiettivo quando colpito frontalmente da una fonte di luce molto intensa, tipicamente il sole) il 24mm ovviamente (per il limitato numero di lenti) è in deciso vantaggio. La resa dei colori degli obiettivi della serie L risulta più brillante e calda; il 24mm riporta tonalità decisamente più fredde.


BOTTOM LINE

Il mio è un giudizio puramente soggettivo basato su pochi scatti: è comuque chiaro che per nitidezza ed uniformità di resa la lente a focale fissa è riuscita a battere i suoi blasonati cugini a focale variabile; in particolare la superiorità a f/4 è impressionante. Ovviamente l'innegabile comodità degli zoom può far preferire quest'ultimi nell'uso quotidiano, ma un 24mm alto 5cm sta comodamente in tasca e può essere tirato fuori quando si desidera privilegiare la qualità d'immagine.